Due più due uguale quattro.

Ce lo insegnano fin da piccoli. La matematica di solito non è un’opinione.

Quindi se addizioniamo due cose otteniamo un risultato che, numericamente parlando, dovrebbe essere la somma delle due. Questo di solito è vero, fino a quando non ci troviamo di fronte a qualcosa la cui somma necessita di una sottrazione per funzionare.

Prendiamo una storia. Straordinaria nella sua linearità, tenuta al sicuro per anni e cullata con amore. Sommiamola a disegni capaci di muoversi sulla carta come se fossero animati, passando dai campi lunghi ai primi piani e poi su per l’oggettivo e giù per il soggettivo.

Sottraiamo adesso china e colori chiudendo tutto in un involucro blu come il mare.

Ciò che si ottiene è Il Porto Proibito.

Prendiamo una storia. Straordinaria nella sua linearità, tenuta al sicuro per anni e cullata con amore. Sommiamola a disegni capaci di muoversi sulla carta come se fossero animati, passando dai campi lunghi ai primi piani e poi su per l’oggettivo e giù per il soggettivo.

Sottraiamo adesso china e colori chiudendo tutto in un involucro blu come il mare.

Ciò che si ottiene è Il Porto Proibito.

In un futuro non troppo lontano, uno in cui chi era figlio è cresciuto ed è diventato genitore, la Casa senza Nord è ancora lì al suo posto. Un po’ attempata e con le tegole sbiadite dal tempo, eppure sempre intenta a portare in grembo storie di tutti i tipi (tranne quelle di fantascienza). Ne ha prodotte e ne ha accolte così tante che muoversi tra le sue stanze è come attraversare un labirinto fatto di parole e disegni.

Per questa ragione Viola e Michele, ormai cresciuti, sono di tanto in tanto chiamati a dare una mano per fare un po’ d’ordine. L’occasione è sempre ghiotta per i loro figli, perché nessun’altra coppia di nonni conosce così tante storie o ti sa leggere dentro al punto da disegnare i tuoi pensieri su un foglio.

Quest’anno tocca al vecchio ripostiglio. È passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta che è stato riordinato e quando Michele lo apre, ne cade fuori un consunto volume blu. Sua figlia, similmente a quei gatti in grado di sentire a un chilometro di distanza un frigo che si apre, riesce a percepire con la stessa chiarezza lo svolazzare delle pagine di un libro che non ha ancora letto. È un volume la cui immagine in copertina è così rovinata che non si vede quasi niente, ma il titolo si legge ancora. Tre parole scritte in carattere bianco su fondo blu.

Il Porto Proibito

La domanda sale quasi da sola, arrampicandosi docilmente da quel posto intimo e tranquillo dove i quesiti dei bambini riposano. Quesiti che, com’è noto, finché dormono sono innocui come dei gattini. Però lei vuole sapere che cos’è Il Porto Proibito, il che significa che il gattino ha aperto gli occhi. Michele soppesa bene le parole perché sa che la risposta sbagliata potrebbe trasformare il micio in una tigre dai denti a sciabola e indurre sua figlia a voler sfogliare il libro. Questo normalmente non sarebbe un problema, ma alcuni disegni non sono adatti a una fanciulla della sua età, sebbene i nudi disegnati dal nonno siano in tutto e per tutto un’espressione artistica.

Potrebbe iniziare spiegando che quel libro l’hanno fatto il nonno e la nonna quando lui aveva la sua età. Lui e sua sorella Viola avevano viaggiato con nonna Teresa e nonno Stefano, per vedere quei posti che poi avrebbero usato per raccontare Il Porto Proibito.

Apre piano la prima pagina e la piccola si fa condurre su quella rotta, astenendosi dal tentare di sfogliare il libro da sola. Michele ha subito l’impressione di sentire delle fusa.

La storia racconta di Abel, un ragazzo che ha perso la memoria e che vuole ritrovarsi. Michele glielo mostra sfogliando una dopo l’altra le tavole in cui Abel è raffigurato. Di pagina in pagina, si arriva in breve a quella in cui per la prima volta è rappresentata Rebecca. Sua figlia dichiara subito che è bellissima e che ha i capelli rossi. Un’osservazione pertinente, nonostante i disegni siano a matita, ma che la bambina giustifica spiegando che nei disegni del nonno, secondo lei, i colori ti entrano in testa da soli.

Domandarsi dove la nonna prenda tutte quelle storie, è una curiosità più che lecita, e Michele non vuole perdere l’occasione di spiegare come la pensa. Si guarda alle spalle per essere sicuro che i suoi non siano a portata d’orecchio e spiega che nonna Teresa è un po’ come una strega delle parole.

Bisogna immaginarla mentre getta dentro un grosso calderone tutto quello che le hanno insegnato: dalle lingue degli altri paesi, ai trucchi per liberare le storie che abbiamo dentro. In quel paiolo ci ha spremuto tutte le poesie che restavano attaccate ai suoi pensieri e non dimenticava mai di metterci anche un pizzico di cinema, che lascia sempre un buon sapore nella testa. Ogni volta uno diverso.

Secondo lui, da quel calderone ci beve ancora.

Non è possibile parlare della nonna senza tirare in ballo il nonno, naturalmente, fin da quella volta in cui lavorarono per lo stesso “topo” senza saperlo. Anche il nonno è cresciuto in mezzo alle storie, anche se invece delle normali favole, gli raccontavano i passi dell’Odissea.

Michele mostra allora una pagina interamente occupata da una nave in balia della tempesta e uno dopo l’altro scivola lungo i termini marinareschi sparpagliati su tutta la tavola. Merito di nonno Stefano, che aveva letto così tanti libri sulla Royal Navy del diciottesimo secolo da essere diventato inconsapevolmente il consulente tecnico dell’opera. Una cosa che non tutti sanno in effetti. D’altro canto, spiega Michele, con persone come il nonno e la nonna, ciò che inizia in una testa, spesso trova il modo giusto di farsi completare nell’altra. Certe volte non si capisce più chi per primo abbia pensato cosa.

La bambina non stacca gli occhi dalle pagine. Per lei é come vedere un film che ti si apre tra le mani invece che su uno schermo.

Certe volte nonna Teresa doveva scrivere storie corte, dice poi. Il Porto Proibito, invece è senza confini e lei l’ha potuto raccontare quanto voleva, seguendo la bussola della sua creatività. Si è allungata sulle poesie della sua giovinezza e le ha usate come un ponte che unisce le sponde di un fiume, per aiutare il lettore a navigare nei pensieri dei personaggi, svelandone la natura.

Come per tutte le storie anche Il Porto Proibito ha dovuto viaggiare un po’ prima di trovarsi del tutto.

Tocca a zia Viola di spiegare cosa questo significhi e lo fa sfilando dal solito ripostiglio un vecchio zaino consunto. E’ affascinante non sapere cosa la gente si porti nello zaino quando viaggia. Qualcuno ci mette le cartine dei luoghi che sta visitando o panini al prosciutto per il pranzo. Magari una mantella per la pioggia e un maglione contro il freddo della sera. Nonna Teresa nello zaino ci portava la storia che aveva scritto. Voleva far coincidere i posti di cui parlava con quelli che esistono davvero. O forse l’aveva portata perché le cose che non sono ancora nate del tutto, possono assorbire ciò che gli sta intorno, se ne hanno voglia.

Non a caso fu proprio nel sottotetto di una casa a Plymouth che nonno Stefano seguì per la prima volta la rotta tracciata dalla calligrafia fitta e piccolissima della nonna, leggendo e immaginando quegli stessi disegni con cui la piccola si stava dissetando in quel momento.

Il Porto Proibito è parola e immagine, ma anche una storia d’amore tra un rude capitano scozzese e una donna che non dovrebbe esistere. Un libro dove le navi sfidano l’oceano, in cui una locanda ha smarrito le risate e dove le memorie sono nascoste tra le parole degli estinti. C’è la famiglia che si perde nella tempesta e che si ritrova in un modo che non pensava possibile, perché Il Porto Proibito è come una poesia a disegni.

Michele non è sicuro d’essere riuscito a spiegare che cosa sia quel libro, più di quanto non potrebbero fare da soli i disegni e le parole che i nonni hanno depositato con tanta cura tra quelle due controguardie blu. Può soltanto indicare sulla bussola quello stesso Nord di cui la casa in cui si trovano è sprovvista, per far si che la figlia sappia sempre come tracciare la propria rotta.