In occasione del suo 30° anniversario, andiamo ad analizzare le due più famose trasposizioni su celluloide della serie a fumetti creata da Tiziano Sclavi. Dietro a queste, due mondi diversi, con visioni ed intenzioni lontane tra loro, alle prese con “l’indagatore dell’incubo” e con tutte le aspettative dei suoi fan. E, si sa, con i veri fan non si scherza…

Dylan Dog compie 30 anni proprio in questi giorni (la data ufficiale di copertina del numero 1 riporta Ottobre 1986) ed in questo lasso di tempo è riuscito ad appassionare più di una generazione di fan. Soprattutto in Italia, ma non solo, essendo pubblicato ormai in molti paesi.
Questa popolarità riuscì, già dai primi anni 90, ad attirare l’interesse di diversi produttori, italiani in primis, che all’inizio ventilarono una serie TV, mai realizzata, e poi cercarono di portare il buon Dylan al cinema, ma senza risultato.
Così, la casa editrice del fumetto, la Sergio Bonelli Editore, vendette i diritti agli studios statunitensi e per un po’ non se ne seppe più nulla.

Fino al 2011, anno di uscita al cinema di Dylan Dog – Il film (in originale Dylan Dog: Dead of Night), in arrivo proprio dagli USA.

Come si può immaginare, un film con un carico di aspettative non indifferente, dovute ad una larga schiera di fan, che aveva quasi perso la speranza di vedere i suoi beniamini sul grande schermo.
Prima di parlare della pellicola ci tengo a sottolineare il mio punto di vista: non sono un fan del fumetto, ricordo solo di aver letto due o tre numeri di Dylan Dog (e un paio di Tex) quando ero piccolo, tutto qui. Di conseguenza ho potuto analizzare il film per quello che è, senza fare paragoni o cercare l’assoluta fedeltà con l’opera originale.
Per la regia di Kevin Munroe, Dylan Dog – Il film ci porta a New Orleans, dove l’indagatore dell’incubo sta cercando di vivere una vita normale, lontana dal mondo sovrannaturale del quale un tempo faceva parte, che gli ha tolto tutto quello a cui teneva.
È rimasto un investigatore, ma ora si occupa di comuni faccende “terrene”, insieme al suo assistente Marcus.
Un giorno però, come prevedibile, per aiutare una donna a risolvere un caso di omicidio, verrà nuovamente coinvolto nei loschi affari delle creature delle tenebre e non potrà negarsi, con il mondo in grave pericolo.
Purtroppo, nel complesso questo è un film evitabile.
La storia non è delle più originali e gli interpreti lasciano abbastanza a desiderare; si riesce a salvare solo l’umorismo generale, che deve molto a Sam Huntington, l’assistente Marcus, bravo a dare un tono leggero e comico ai momenti in cui è presente.
Per il resto, da Brandon Routh nei panni di Dylan Dog ad Anita Briem, la donna bisognosa di aiuto, fino a Taye Diggs, cioè il cattivone di turno: tutti molto ma molto inconsistenti, per non dire altro…
Il regista non lavora neanche male, ma con un materiale così misero non poteva fare un granché.
Eppure ho letto di un budget di produzione di 20 milioni di dollari! In cosa caspita li hanno spesi questi soldi? Scene d’azione mediocri, effetti speciali da “serie B” e costumi dei vari vampiri/licantropi/zombie che sembrano un riciclo del materiale di scena di una puntata di Buffy l’ammazzavampiri
Con un esito simile, posso solo immaginare la cocente delusione dei fan, che hanno aspettato tanto e si sono ritrovati con un prodotto deludente, anche sotto altri punti di vista.
Infatti, questo primo Dylan Dog cinematografico ha mantenuto ben poco dell’originale, solo alcuni oggetti e qualche espressione caratteristica, perdendo tutto il resto. Ambientazione diversa, assistente diverso, personaggi non presenti e carattere del protagonista cambiato, queste le differenze principali, buone a rendere l’idea di come sia stata gestita tutta questa operazione da parte dei produttori americani.
Che comunque non dovrebbero essere incolpati di mancanza di fedeltà con il fumetto, ma, semplicemente accusati di aver creato un lungometraggio di questo livello.
Piuttosto, colpa dei produttori nostrani, incapaci di investire su di una risorsa italiana così importante come Dylan Dog, lasciandosela “scippare” da altri paesi.

Fortuna vuole che i fan possano rifarsi in altro modo, grazie ai fan film.

Di questi, il più importante progetto legato al mondo di Dylan Dog è Vittima degli Eventi del 2014, mediometraggio diretto da Claudio Di Biagio e scritto da Luca Vecchi, entrambi famosi youtubers italiani.
Il tutto finanziato tramite il crowdfunding, metodo ormai divenuto usuale proprio per dare la possibilità ai fan di contribuire direttamente con delle donazioni, aiutando altre persone che hanno intenzione di omaggiare i loro amati personaggi.
Vittima degli Eventi cerca di restare fedele ai toni ed alle atmosfere del materiale d’origine, anche se non ha paura di modificare qualcosa, come l’ambientazione e la rappresentazione di alcuni dei vari protagonisti.
Come detto, io non faccio paragoni con la controparte cartacea, ma ho potuto notare subito un grosso cambiamento rispetto al lungometraggio del 2011: la cura e la passione messe qui sono di tutto un altro livello.
Ogni inquadratura sembra studiata per rendere al meglio la scena e le battute del protagonista cercano anche di definire il più possibile il suo carattere, mentre avanza nell’indagine sul caso in questione.
Certo, alla fine il risultato non è esente da difetti, su tutti la caratterizzazione dell’assistente di Dylan, Groucho (non Marcus), che dovrebbe essere quello comico e risulta solo parecchio irritante; però questo è molto vicino a quanto bramato dai fan, nonostante i mezzi a disposizione risicati e la mancanza di attori di livello (eccezion fatta per Alessandro Haber e Milena Vukotic).
Non voglio parlare oltre di Vittima degli Eventi, vi invito a guardarlo, lo trovate su YouTube.
È importante realizzare adattamenti cinematografici fedeli ai materiali di partenza, ma, ricordo, questo non deve limitare le capacità di chi lavora ad un progetto.

In sostanza, se, per esempio, da un certo romanzo si vorrà arrivare a creare un film, le caratteristiche migliori e le sensazioni trasmesse dalla carta dovranno necessariamente permeare anche la pellicola. In caso contrario, inutile dire “tratto dal romanzo di…”, meglio scrivere da zero una sceneggiatura completamente originale.
Poi però dovrà entrare in gioco il team creativo con la facoltà di decidere se riprendere per filo e per segno ogni pagina del romanzo, oppure rivoluzionare qualcosa e scegliere strade diverse. Arrivando a cambiare il finale, magari.
Dico questo perché non sempre il risultato migliore è quello dei “puristi”, ma ci possono essere situazioni dove le modifiche ad una storia portano solo esiti positivi, come quando ci si imbatte nei casi di film meglio del libro.
Se le pellicole avessero come obiettivo quello di accontentare solo i fan, si andrebbe a sminuire l’importanza di un’opera, togliendo la possibilità alla “gente normale” di conoscerla ed apprezzarla, anche se tramite un canale diverso da quello utilizzato in partenza.
Tirando le somme, le differenze tra i due film citati sono enormi, tra budget, attori disponibili, esperienza del regista e di tutto lo staff… chi più ne ha più ne metta.
Tuttavia, queste due differenti versioni di Dylan Dog ci dimostrano, ancora una volta, quanto il potere economico non basti per sfornare prodotti di qualità.
Anzi, le grandi case produttrici investono parecchio denaro per un film con il solo scopo di incassarne molto di più, così, tante volte, tralasciano un aspetto fondamentale: assumere persone capaci e mosse dalla passione.
Il loro lavoro non potrà garantire un successo assicurato, ma averle aiuta. Di sicuro.
Le ispirazioni sono ben evidenti ma il film comunque si lascia vedere e ha un finale che non sgonfia tutto quanto visto in precedenza, per quanto possa essere intuibile sin da subito a coloro che sono un po’ più smaliziati nel genere.
Il cast non è così malvagio: se all’appassionato verrà quasi un colpo al cuore nel rivedere impegnato in un film di questo genere il David Brandon di Deliria, il cuore di tutto è la performance della giovane Daisy Keeping che riesce a colorare intensamente il personaggio di Jenny non risultando la solita, vuota scream queen che caratterizza molti film di questo genere.
Lodevole l’intento di costruire qualcosa di nuovo ,aggiungiamoci uno stile registico abbastanza raffinato e si può rendere questo film un ideale punto di partenza per ricostruire il nostro nome in un genere in cui una volta eravamo considerati maestrii.