Chi avrebbe mai immaginato, qualche decennio fa, che un “semplice” videogioco action/horror e survival, avrebbe potuto generare un tale strascico di discussioni e polemiche?

Fin da subito l’annuncio della trasposizione televisiva di “The Last of Us” ha fatto sognare i fan e ha suscitato un grande interesse nel mondo dell’intrattenimento. In un’epoca in cui i formati comunicativi si ibridano sempre più, ampliando e allargando i confini di chi è il destinatario di una produzione, si vuole condividere e condividere una storia, una lore, con il pubblico più vasto possibile. “The Last of Us” è un esempio di questo fenomeno, dove una narrazione originariamente destinata ai videogiocatori si è diffusa attraverso la serie TV in streaming.

Il successo di questa dinamica è in parte attribuibile anche a trionfi commerciali come l’Universo Cinematografico Marvel, noto come MCU, che ha iniziato a dominare i cinema a partire dal 2008, per poi infiltrarsi nelle nostre case attraverso le serie TV in streaming, facilitando così questa tipologia d’ibridazione di media diversi. L’idea di amalgamare e far interagire diverse forme ludiche tra di loro non è certo un concetto nuovo, basta prendere in esempio l’universo di Star Wars, creato da George Lucas, oppure i numerosi manga che sono stati trasformati in anime e successivamente adattati in film in live action. Oppure il cult letterario di Lovecraft, il quale ha ispirato una varietà di prodotti influenzati dalla sua narrativa pressoché infinita. Questa tendenza si estende oltre, a volte inaugurando interi generi come nel vasto mondo fantasy ideato da Tolkien, che ha dato origine a tre film di successo e a una serie TV prodotta da Amazon, considerata tra le più costose della storia, nonché per l’appunto al genere “fantasy” come lo conosciamo oggi.

Detto ciò, cos’è che rende “The Last of Us”, così straordinario? Forse perché nasce videogame poi portato sul piccolo schermo? Eppure, non è certo il primo videogame a essere stato portato sul piccolo-grande schermo o piccolo schermo, ci sono già stati vari tentativi di sconfinamento del media, basti pensare ad Halo (fortunata serie sparatutto emblema di Microsoft per quanto riguarda il gaming) che però non hanno avuto tutta questa fortuna… nonostante vanti tantissimi romanzi derivanti e più di una serie tv all’attivo.

Possiamo quindi affermare che, a differenza di altri casi, l’interesse per questo peculiare titolo stia proprio nella complessità  nonché maturità dei temi illustrati al suo interno, che come un “pugno nello stomaco” sono esposti al pubblico, grazie anche a uno stile crudo e violento di cui è permeata la narrativa.
Questa particolare caratteristica ha suscitato molte polemiche in vari paesi in cui il gioco è stato rilasciato nel corso del tempo. Da quel momento in poi, il titolo ha attirato a sé non solo dibattiti accesi, ma anche episodi estremamente gravi, che sfidano in alcuni casi ogni logica di comprensione. Tra questi deprecabili episodi, spiccano le spiacevoli e gravi aggressioni verbali (e non) contro la doppiatrice Laura Bailey e l’attrice Jocelyn Mettler, la quale presta il suo volto per il motion-capture del personaggio di Abby. Queste professioniste hanno subito ingiustificate reazioni di odio e minacce online da parte di alcuni membri della fanbase del gioco, esaltati che probabilmente confondono realtà e finzione, generando una sorta di linciaggio mediatico e persecutorio, così pesante e persistente che continua tutt’ora. Questo fenomeno inquietante solleva interrogativi importanti sulla complessa relazione tra i fan e l’industria video-ludica.

Dopo il lancio della serie televisiva le diatribe non hanno fatto altro che intensificarsi, in gran parte dovuto al fatto che una serie TV attira sicuramente un pubblico più ampio rispetto a quello dei videogiochi. Il titolo ideato da Neil Druckmann ha suscitato non poche polemiche e discussioni incentrate sulle sue (presunte) tematiche a sostegno delle teorie LGBT+, in cui rientra la gaffe radiofonica del giornalista Rai Paolo Mieli, che non ha chiaramente basi di cultura video ludica sull’universo narrativo targato Naughty Dog, tanto più che confonde addirittura il titolo del gioco con la casa di produzione.
Per alcune persone la serie è stata vista come un manifesto, uno spot “elettorale” a favore della teoria gender e di chi vuole portare alla luce queste tematiche sensibili, concentrandosi, come per altri casi, più sulle caratteristiche dei personaggi che sulla trama in sé o sulla “morale” che essa vuole far trapelare.
Senza voler addentraci nel tema in se, dove ciascuno riteniamo debba avere la propria personale sensibilità e il suo punto di vista, crediamo che sia la serie video-ludica che la serie televisiva semplicemente non trattino l’argomento in sé. Capiamoci alcuni personaggi principali e secondari hanno chiaramente (e legittimamente vorremmo dire ndr.) un certo tipo di orientamento sessuale, ma la trama non verte su quello è una tematica solo di sfondo e ne è riprova il fatto che, con un po’ di fantasia, immaginando di cambiare l’orientamento sessuale dei personaggi a 100% etero (con ovvie modifiche al sesso del partner corrisposto) la trama principale in sé funzioni in egual misura e abbia gli stessi crismi e peculiarità: provare per credere.
The Last of Us tocca spesso, a volte senza affrontarle nel concreto, tematiche complesse e profonde: questioni sociali e traumi psicologici, dalla paura del diverso alla depravazione, dallo stupro a perfino il cannibalismo.
Lo stesso titolo l’abbiamo “letto”, tradotto e interpretato per quello che forse è il concetto chiave che pervade la serie volendo imprimere un focus per stimolare una riflessione ovvero l’essenza dell’essere umani: “Gli ultimi di noi”: inteso gli ultimi essere umani a essere rimasti umani, nella propria umanità. Perché la storia è ambientata in un mondo post apocalittico in cui una vera e propria pandemia globale ha spazzato via la civiltà umana riducendo l’umanità sull’orlo dell’estinzione con pochissimi umani sopravvissuti e ridotti a uno stato degradato costellato di comunità superstiti allo stato quasi tribale, spesso violenti, con vari gruppi che si scontrano per prendere il potere o per le risorse. Tutto questo caos apocalittico a differenza di altri contesti in tema zombie è scaturito dall’infezione causa dal Cordyceps, organismo parassitario fungino realmente esistente in natura, che tende a prendere il controllo delle proprie vittime letteralmente “zombificandole”.

Prima di “The Last of Us”, pochi conoscevano l’esistenza del fungo Cordyceps, un organismo affascinante e spaventoso che, nella realtà, attacca solo alcune specie di formiche. L’idea di ispirarsi a un organismo reale aggiunge un tocco di autenticità e originalità alla narrazione. Neil Druckmann, il creatore del gioco e della serie Tv, ha reinterpretato a suo modo e umanizzato il concetto stesso di zombie, come dimostrato dagli infetti chiamati “stalkers”: questi infetti, al loro stadio, lottano tra la coscienza umana rimanente e il controllo sempre più opprimente e doloroso del parassita, in alcuni casi quasi cercando di trattenersi dall’attaccare gli umani o per lo meno indugiando. Questo denota un approccio molto profondo a quello che fin a prima è stato un modo molto “pop corn” e caciarone di concepire la figura dello zombie.
Proprio per questo crediamo che The last of Us sia un medium ludico di spessore e non bisogna certo fermarsi agli aspetti polemici che involontariamente (o meno ndr.) ha scatenato.
Sarebbe auspicabile concentrarsi sulla bellezza artistica e poetica che trasmette il brand senza ogni volta vincolarsi a (anche legittimi) pensieri e visioni personali, perché perdersi questa serie, sia che si parli di videogame o di videogioco è prima di tutto perdersi un opera espressiva ricca di emozioni e sfumature.

In conclusione, l’evoluzione di “The Last of Us” dall’universo del videogioco alla serie TV ci offre una prospettiva affascinante su come la narrativa possa attraversare diversi medium e coinvolgere un pubblico sempre più vasto. Questo fenomeno ibrido segna un nuovo capitolo nell’interazione tra giochi, serie TV e cinema, aprendo la strada a ulteriori esplorazioni. Naturalmente se ci si apre a un pubblico più vasto critiche polemiche e fraintendimenti vanno tenuti in conto, ma è un fattore