Qualcuno è riuscito nell’intento di dare al cinema italiano un’alternativa, una possibilità, un modo per uscire dall’ordinario, fatto di film che si somigliano troppo tra loro, a causa di produttori che non osano, non provano mai ad andare oltre certi generi. Questo qualcuno risponde al nome di Gabriele Mainetti e quella che segue è la mia “Pregiata” Opinione sul suo primo lungometraggio

Un film italiano di supereroi… ancora faccio fatica a rendermene conto.

Se c’è un genere totalmente estraneo alla nostra cinematografia è proprio questo, un po’ per motivi economici (gli effetti speciali costano) ed un po’ per colpa dei produttori, tutto tranne che inclini ad investire su qualcosa che non siano commedie o drammi.

Beh, soprattutto per colpa loro, direi.

Non voglio dilungarmi troppo sui problemi finanziari, di svariato ordine, che affliggono le diverse produzioni nostrane, ma ci tengo a sottolineare una cosa molto importante: le idee non hanno un costo. L’ingegno non costa.

Per creare una bella storia, scrivere una bella sceneggiatura o immaginare come dovrebbero essere dirette certe scene, servono carta e penna (vabbè, diciamo un PC) e tanta creatività.

Dopodiché si possono trovare mille soluzioni per ovviare alla mancanza di denaro, basti vedere quanti film di fantascienza o d’azione, usciti anche negli ultimi anni, siano stati lodati da più parti, nonostante il budget risicatissimo o la mancanza di grossi interpreti.

Magari perché l’intero lungometraggio è girato in una sola location o perché la storia prevede solo due o tre attori, o semplicemente perché tutti gli effetti speciali hanno fatto benissimo il loro dovere anche se creati con pochi mezzi a disposizione.

La domanda sorge quindi spontanea: come mai ci è voluto tanto per girare un film italiano diverso dal solito?

Potrei mettere in mezzo ancora i produttori, che non hanno mai cercato di cambiare le cose, soprattutto per pigrizia, secondo me…

Ma preferisco rispondere: ci voleva Gabriele Mainetti! (che ha comunque dovuto mettersi le mani in tasca e tirare fuori qualche spicciolo, diventando lui stesso produttore… dite che ce l’ho con i produttori? Ma no dai…).

Ci voleva qualcuno con la voglia di creare qualcosa di nuovo, con la voglia di aprire le finestre e cambiare l’aria al cinema italiano. E non immagino la puzza che avrà trovato quando è arrivato.

Lo Chiamavano Jeeg Robot si sviluppa come una delle più classiche storie di supereroi.

Enzo Ceccotti è un piccolo criminale di Tor Bella Monaca, che vivacchia con furti di poco conto, pensando solo e soltanto a se stesso: un giorno, inseguito dalla polizia, per far perdere le sue tracce si immerge nelle acque del Tevere, dove però scivola dentro ad un bidone abbandonato sul fondale.

Una volta riemerso, Enzo si ritrova ricoperto di sostanze chimiche non ben precisate, inizia a non sentirsi bene e se ne torna a casa barcollando, dove passa la notte tra brividi e convulsioni.

Il giorno seguente, dopo alcune vicissitudini, capirà che questo incidente gli ha donato una forza ed una resistenza sovrumane, cosa che cercherà subito di sfruttare a suo vantaggio.

Il protagonista, da questo punto in poi, inizierà il suo viaggio di redenzione, passando dall’utilizzare i suoi poteri solo per fini personali, al cercare di essere un aiuto per tutti, sviluppando un senso morale che prima non aveva.

Nonostante le premesse, questo film non potrebbe mai essere simile ad altri già visti, perché, per quanto diretto da un amante di anime giapponesi e supereroi in genere, è innanzitutto diretto da un italiano, in Italia.

Tutti i rimandi ai vari film statunitensi, con un eroe piuttosto che un altro, non sono scopiazzature o imitazioni, sono solo punti di partenza, sviluppati e modificati per essere inseriti nel contesto di Roma.